Ordinanza n. 146 del 2012

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ORDINANZA N. 146

ANNO 2012

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Alfonso                       QUARANTA                                   Presidente

-           Franco                         GALLO                                              Giudice

-           Luigi                            MAZZELLA                                            ”

-           Gaetano                       SILVESTRI                                             ”

-           Sabino                         CASSESE                                                ”

-           Giuseppe                     TESAURO                                               ”

-           Paolo Maria                 NAPOLITANO                                       ”

-           Giuseppe                     FRIGO                                                     ”

-           Alessandro                  CRISCUOLO                                          ”

-           Paolo                           GROSSI                                                   ”

-           Giorgio                        LATTANZI                                              ”

-           Aldo                            CAROSI                                                   ”

-           Marta                           CARTABIA                                             ”

-           Sergio                          MATTARELLA                                       ”

-           Mario Rosario              MORELLI                                                ”

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’articolo 2, comma 61, del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie), convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10, comma aggiunto dalla legge di conversione, promossi dal Tribunale di Nicosia con ordinanza del 6 luglio 2011, dal Giudice di pace di Potenza con ordinanza del 9 novembre 2011, dal Tribunale di Bari con ordinanza del 19 maggio 2011 e dal Tribunale di Siracusa con ordinanza del 7 ottobre 2011, rispettivamente iscritte al n. 259 del registro ordinanze 2011 e ai nn. 13, 14 e 24 del registro ordinanze 2012 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 52, prima serie speciale, dell’anno 2011 e nn. 7 e 9, prima serie speciale, dell'anno 2012.

Visti l’atto di costituzione di Unicredit s.p.a., quale incorporante del Banco di Sicilia s.p.a., fuori termine, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 23 maggio 2012 il Giudice relatore Alessandro Criscuolo.

Ritenuto che il Tribunale ordinario di Nicosia, con ordinanza del 6 luglio 2011 (r.o. n. 259 del 2011), ha sollevato, in riferimento agli articoli 2, 3, 102, primo comma, 111 e 117, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’articolo 2, comma 61, primo periodo, del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie), convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10, comma aggiunto dalla legge di conversione;

che il rimettente premette di essere investito di un giudizio avente ad oggetto la domanda di accertamento della nullità – ai sensi degli articoli 1283 e 1284, terzo comma, del codice civile – delle clausole negoziali di capitalizzazione trimestrale degli interessi e di applicazione di interessi ultralegali, relative a conti correnti di corrispondenza con apertura di credito e conti anticipo intrattenuti da uno degli attori con il Banco di Sicilia s.p.a., nonché la domanda di condanna di quest’ultimo alla restituzione dell’indebito versato;

che, nel costituirsi in giudizio, il Banco di Sicilia s.p.a. ha eccepito la prescrizione delle pretese azionate, chiedendo la condanna degli attori al pagamento del saldo finale del conto, oltre interessi;

che il rimettente rileva come soltanto per due dei rapporti bancari sopra menzionati la banca avesse prodotto la relativa documentazione contrattuale e come uno dei conti fosse ancora in corso alla data della notifica dell’atto di citazione o, quantomeno, fino alla data della missiva inviata con raccomandata del 2 novembre 2007, ricevuta dall’attore il 14 novembre 2007;

che, medio tempore, era entrata in vigore la legge 26 febbraio 2011, n. 10, recante conversione, con modificazioni, del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225;

che, con tale normativa, è stata introdotta nell’ordinamento la seguente disposizione: «In ordine alle operazioni bancarie regolate in conto corrente l’art. 2935 del codice civile si interpreta nel senso che la prescrizione relativa ai diritti nascenti dall’annotazione in conto inizia a decorrere dal giorno dell’annotazione stessa»;

che, in punto di rilevanza della questione, il rimettente osserva di non potere prescindere dall’applicazione del nuovo precetto ontologicamente retroattivo, in quanto, qualora la prescrizione decennale non decorresse dalla data di estinzione del rapporto di conto corrente (come affermato dalla sentenza della Corte di cassazione, resa a sezioni unite, il 2 dicembre 2010, n. 24418), ma dal giorno di ogni singola annotazione in conto, ciò darebbe luogo all’estinzione per prescrizione del diritto di credito pecuniario del correntista per gli importi versati a titolo solutorio e annotati in data anteriore al 30 luglio 1997, ossia oltre dieci anni prima della data di notificazione dell’atto di citazione;

che, in punto di non manifesta infondatezza, il Tribunale sottolinea come la norma censurata non risulti rispettosa sia delle ragioni che dei canoni legittimanti l’adozione di una disposizione interpretativa e, dunque, retroattiva;

che, infatti, per consolidata giurisprudenza costituzionale, una disposizione è interpretativa qualora, esistendo una oggettiva incertezza del dato normativo (ordinanza n. 400 del 2007) e un obiettivo dubbio ermeneutico (sentenza n. 29 del 2002), essa sia diretta a chiarire il contenuto di preesistenti norme ovvero ad escludere o ad enucleare uno dei significati tra quelli plausibilmente ascrivibili a queste, anche se non siano insorti contrasti giurisprudenziali (ordinanza n. 480 del 1992), purché sussista una situazione di incertezza nella loro applicazione (sentenze n. 170 del 2008; n. 291 del 2003; n. 374 del 2002 e n. 525 del 2000), essendo sufficiente che la scelta imposta rientri tra le possibili varianti di senso del testo interpretato e sia compatibile con la sua formulazione (sentenze n. 409 del 2005; n. 168 del 2004; n. 292 del 2000);

che, ad avviso del rimettente, la norma censurata, sotto le vesti di una disposizione interpretativa, celerebbe in realtà una norma innovativa, in quanto adottata in un contesto ermeneutico caratterizzato da un orientamento consolidato della giurisprudenza (Corte di cassazione, sezione prima civile, sentenze 14 maggio 2005, n. 10127 e 9 aprile 1984, n. 2262) sul dies a quo relativo alla decorrenza della prescrizione dell’azione avente ad oggetto la ripetizione di somme illegittimamente versate (ad esempio: a titolo di interessi ultralegali o con capitalizzazione trimestrale), nel corso di un rapporto di apertura di credito in conto corrente, orientamento da ultimo confermato, per la particolare importanza della materia trattata, dalla citata sentenza della Corte di cassazione, sezioni unite, n. 24418 del 2010, secondo cui il termine di decorrenza della prescrizione della condictio indebiti coincide con la estinzione del rapporto bancario, sia pure per le rimesse finalizzate a ripristinare la provvista;

che il rimettente richiama, altresì, i limiti – elaborati dalla giurisprudenza costituzionale – alla ammissibilità di una norma interpretativa retroattiva ed, in generale, all’efficacia retroattiva delle leggi, attinenti alla salvaguardia del principio generale di ragionevolezza che ridonda nel divieto di introdurre ingiustificate disparità di trattamento; alla tutela dell’affidamento legittimamente sorto nei soggetti, quale principio connaturato allo Stato di diritto; alla coerenza e alla certezza dell’ordinamento giuridico; al rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario (sentenza n. 397 del 1994);

che, ad avviso del giudice a quo, anche i suddetti canoni risulterebbero violati dalla norma censurata;

che, in particolare, ad avviso del rimettente, l’art. 2, comma 61, lederebbe: 1) il principio di parità di trattamento tra situazioni simili, in quanto, involgendo i soli rapporti bancari, escluderebbe ogni altro rapporto regolato in conto corrente tra diversi soggetti giuridici; 2) l’affidamento legittimamente insorto nei consociati, in quanto, fino alla entrata in vigore della detta norma, i beneficiari di aperture di credito, in “sofferenza”, soprassedevano, in costanza di rapporto, da richieste dirette alla ripetizione di somme illegittimamente versate, ciò al fine di evitare pericolose ricadute sul rapporto di fiducia con l’istituto di credito, quali la cosiddetta revoca dell’affidamento, ossia la decadenza dal beneficio del termine; 3) i canoni di coerenza e di certezza dell’ordinamento per le medesime ragioni di cui sopra;

che il rimettente assume il contrasto della norma denunciata anche con l’art. 117, primo comma, Cost., tramite violazione dell’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, come interpretata dalla Corte EDU, secondo cui il principio dello Stato di diritto, la nozione di equo processo e il principio di parità delle armi, vietano l’interferenza del legislatore – con norme retroattive – nell’amministrazione della giustizia destinata ad influenzare l’esito delle singole controversie, fatta eccezione per i motivi di interesse generale (sentenze 21 giugno 2007, Scanner de L’Ouest Lyonnais e altri contro Francia; 9 dicembre 1994, Raffineries Grecques Stran e Stratis Andreadis contro Grecia; 28 ottobre 1999, Zielinski e altri contro Francia);

che, ad avviso del giudice a quo, se è vero che motivi rilevanti di interesse generale potrebbero in astratto rinvenirsi nella necessità di salvaguardare la tenuta del sistema bancario e quindi nelle esigenze di tutela del risparmio (art. 47, primo comma, Cost.), nella fattispecie concreta nulla sembra giustificare la nuova disposizione retroattiva sulla decorrenza del termine di prescrizione dell’azione di ripetizione dell’indebito;

che, con memoria depositata in data 17 gennaio 2012 (fuori termine), si è costituita in giudizio Unicredit s.p.a., quale incorporante il Banco di Sicilia s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, chiedendo che la questione di legittimità costituzionale sia dichiarata inammissibile o infondata;

che, con atto depositato in data 3 gennaio 2012, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto in giudizio chiedendo che la questione di legittimità costituzionale sia dichiarata inammissibile o infondata;

che, la difesa erariale eccepisce, in primo luogo, la inammissibilità della questione per genericità della motivazione sulla rilevanza, in quanto il Tribunale riferisce trattarsi di versamenti «solutori» annotati in conto oltre dieci anni prima dell’introduzione della causa, ma poiché tali pagamenti sono soggetti a prescrizione decennale, anche in base alla giurisprudenza delle sezioni unite della Corte di cassazione di cui alla sentenza n. 24418 del 2010, la sopravvenuta norma interpretativa non avrebbe alcuna effettiva incidenza sulla decisione della causa;

che, nel merito, ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri, la questione sarebbe infondata;

che, in particolare, con riferimento alla prima parte della citata disposizione, la difesa erariale ritiene che il legislatore, nel richiamare i «diritti nascenti dalle annotazioni», abbia inteso riferirsi al diritto di contestare giudizialmente non solo i profili contabili, ma anche le ragioni sostanziali dalle quali è derivata l’annotazione in conto e, perciò, al diritto di accertare la mancanza di un valido titolo giustificativo della posta creditoria annotata in quanto derivante da una clausola negoziale o da un atto invalido (ad esempio: applicazione di interessi ultra legali; indebita capitalizzazione di interessi);

che, con la norma denunciata, il legislatore avrebbe chiarito che, nel contratto di conto corrente bancario, le annotazioni hanno la funzione di rendere definitivi, se non contestati entro un termine prescrizionale ordinario, i crediti ed i debiti annotati nel conto sia pure in base ad una disposizione contrattuale viziata;

che, pertanto, nell’ottica di un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma censurata, si potrebbe ritenere che con essa il legislatore abbia voluto precisare la portata dell’art. 2935 cod. civ., individuando nella annotazione, cui le parti hanno inteso dare una particolare valenza in base al sinallagma contrattuale, il momento di decorrenza della prescrizione del diritto nascente da quella operazione;

che la difesa erariale rileva, altresì, come la norma denunciata non sarebbe contraria ai principi vigenti in materia, in quanto ciò che conterebbe ai fini della prescrizione non sarebbe tanto il concreto esercizio del diritto, ma l’astratta possibilità di esercitarlo (Cassazione, sezione prima, sentenza 22 aprile 2010, n. 9620);

che la difesa erariale sottolinea come la norma in questione non violi neanche i principi di uguaglianza e ragionevolezza, sotto il profilo della asserita diversità della disciplina dei contratti di conto corrente bancario rispetto ad altri contratti regolati in conto corrente, nonché della ingiustificata efficacia retroattiva;

che, quanto alla efficacia retroattiva della norma in esame, la stessa esprimerebbe un principio già insito nel sistema, per cui la retroattività costituirebbe un riflesso intrinseco della sua natura interpretativa;

che, inoltre, non sarebbe ravvisabile alcuna lesione delle funzioni e delle prerogative del potere giudiziario, in quanto la norma censurata avrebbe un contenuto sostanziale e non processuale, limitandosi a chiarire i termini entro i quali i diritti vantati devono essere esercitati, secondo i comuni canoni che presiedono alla prescrizione dei diritti e delle correlative azioni giudiziarie, ciò nell’interesse generale della certezza e stabilità dei rapporti;

che il Giudice di pace di Potenza, con ordinanza del 9 novembre 2011 (r.o. n. 13 del 2012), ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, 24, 101, 102, 104 e 111 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 61, del d.l. n. 225 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10, comma aggiunto dalla legge di conversione;

che il rimettente premette di essere investito – sulla base del consolidato indirizzo giurisprudenziale in ordine alla nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi e della commissione di massimo scoperto – di una domanda di rideterminazione del saldo di conto corrente, acceso in data 1° ottobre 1997 ed estinto in data 19 agosto 2005, con condanna della banca convenuta alla restituzione dell’indebito versato;

che, nel costituirsi in giudizio, la banca convenuta ha dedotto la liceità della capitalizzazione trimestrale degli interessi ed eccepito la prescrizione estintiva, chiedendo il rigetto della domanda;

che, disposta CTU per il ricalcolo del saldo, nelle more del giudizio è entrata in vigore la normativa censurata;

che, in punto di rilevanza, il giudice a quo osserva come la natura dichiaratamente interpretativa della norma e l’eccezione di prescrizione di parte convenuta ne impongano l’applicazione nel giudizio principale;

che, in punto di non manifesta infondatezza, il rimettente assume la violazione dei limiti interni, individuati dalla Corte costituzionale, alla ammissibilità di una norma interpretativa nonché degli artt. 3, 24, 101, 102, 104 e 111 Cost.;

che, in ordine alla assunta violazione dei limiti interni all’ammissibilità di una norma di interpretazione autentica, il giudice a quo deduce la irragionevolezza della norma censurata, stante: 1) la inesistenza di una norma specifica da interpretare, quale condizione dell’esercizio del potere di legislazione a fini interpretativi; 2) l’impossibilità d’includere la soluzione interpretativa prospettata tra quelle legittimamente desumibili dalla disciplina complessiva dell’istituto;

che, quanto al primo rilievo, il rimettente osserva che l’art. 2935 cod. civ. – secondo cui il dies a quo, ai fini della prescrizione di un diritto, decorre dal momento in cui il suo titolare è posto nelle condizioni di poterlo esercitare – costituisce una regola di carattere generale, che necessita della etero-integrazione della disciplina speciale prevista per i singoli tipi contrattuali, come dei principi generali in materia di adempimento delle obbligazioni e di ripetizione d’indebito;

che, ad avviso del giudice a quo, nel caso di specie le norme etero-integratrici sarebbero da individuare nella disciplina delle operazioni bancarie (ad esempio, apertura di credito, deposito bancario ai sensi dell’art. 1852 cod. civ.) e nel conto corrente bancario;

che il rimettente sottolinea come una legge di interpretazione autentica avrebbe dovuto avere ad oggetto una norma che disciplinasse di per sé, in maniera specifica, la decorrenza della prescrizione con riguardo al contratto di apertura di credito, regolato in conto corrente, selezionandone una delle possibili opzioni;

che, quanto al secondo rilievo, il rimettente osserva come, nel rapporto di conto corrente bancario, in armonia con i principi generali in materia di ripetizione d’indebito e con quelli relativi alla causa del contratto medesimo, la decorrenza della prescrizione dell’azione di ripetizione – conformemente a quanto sostenuto dalla Corte di cassazione, a sezioni unite, nella già menzionata sentenza n. 24418 del 2010 – sarebbe da individuare: a) nel versamento (nell’ipotesi di conto passivo, senza affidamento, come di superamento del limite affidato); b) nella chiusura del rapporto (quando non siano effettuati versamenti, in pendenza di rapporto, o quando il versamento effettuato in pendenza di rapporto abbia funzione meramente ripristinatoria dell’affidamento);

che, infatti, quando il passivo non abbia superato il limite dell’affidamento concesso al cliente, i versamenti da costui posti in essere fungono, in base a costante giurisprudenza di legittimità, da atti ripristinatori della provvista di cui il correntista può ancora continuare a godere e, in questo caso, la fattispecie dell’adempimento, sub specie di pagamento, sarà configurabile soltanto dopo che, conclusosi il rapporto di apertura di credito in conto corrente, la banca abbia preteso e ottenuto dal correntista la restituzione del saldo finale, nel computo del quale risultino comprese somme e competenze non dovute;

che, ad avviso del rimettente, il legislatore avendo, con la norma censurata, fatto decorrere la prescrizione dei diritti nascenti dall’annotazione dal giorno dell’annotazione stessa, non avrebbe attribuito alla norma interpretata un significato compatibile con il novero delle possibili opzioni ermeneutiche;

che l’esclusione dell’interpretazione della norma censurata dal novero di quelle ammissibili si desume anche, avendo riguardo alla individuazione, da parte del legislatore, del dies a quo della decorrenza della prescrizione in una circostanza di fatto, quale l’annotazione in conto, esulante dalla sfera conoscitiva del cliente, essendo questi edotto delle movimentazioni del conto solo con la ricezione dell’estratto conto;

che, in ordine alla assunta violazione del principio di azione e di indefettibilità della tutela giurisdizionale di cui all’art. 24 Cost., il Giudice di pace censura sia la prima che la seconda parte del citato art. 2, comma 61;

che, in particolare, in ordine alla prima parte della disposizione, secondo cui «In ordine alle operazioni bancarie regolate in conto corrente l’art. 2935 cod. civ. si interpreta nel senso che la prescrizione relativa ai diritti nascenti dall’annotazione in conto inizia a decorrere dal giorno dell’annotazione stessa», il rimettente denuncia la scelta del legislatore di individuare il dies a quo della decorrenza della prescrizione in una circostanza di fatto, l’annotazione, esulante dalla sfera conoscitiva e di conoscibilità del cliente;

che il giudice a quo assume la incostituzionalità anche della seconda parte della disposizione, secondo cui «In ogni caso non si fa luogo alla restituzione di importi già versati alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto», qualora sia letta non nel senso di una clausola di salvaguardia della posizione giuridica di chi abbia già ricevuto il rimborso, cui la prescrizione non può essere più eccepita, ma nel senso di un divieto generalizzato di ripetizione in via stragiudiziale e giudiziale delle somme indebitamente corrisposte dal cliente del sistema bancario (come gli interessi superiori al tasso legale o anatocistici);

che, in particolare, tale ultima opzione interpretativa che, secondo lo stesso rimettente, potrebbe essere esclusa sulla base di un’esegesi costituzionalmente orientata della norma, contrasterebbe con il principio di giustiziabilità delle posizioni giuridiche soggettive;

che, riguardo alla dedotta violazione dell’art. 3 Cost., sotto il profilo del principio di uguaglianza e ragionevolezza, il rimettente lamenta, in primo luogo, l’introduzione di un’inammissibile disparità di trattamento tra banche e utenti del sistema bancario, in quanto la norma censurata, nello stabilire il dies a quo della decorrenza della prescrizione nel giorno della annotazione, assicurerebbe un ingiustificato privilegio per le banche, a danno del contraente debole, qual è l’utente del sistema bancario;

che, sempre con riferimento all’assunto contrasto con l’art. 3 Cost., il rimettente denuncia la violazione del principio di uguaglianza anche sotto il profilo della introduzione di un’inammissibile disparità di trattamento tra tipologie contrattuali assimilabili sotto il profilo funzionale;

che, ancora in ordine all’assunta violazione dell’art. 3 Cost., il giudice a quo lamenta, inoltre, la introduzione di un’inammissibile disparità di trattamento tra somme versate indebitamente, rispettivamente prima e dopo l’entrata in vigore della legge di conversione del d.l. n. 225 del 2010;

che, in particolare, in forza della seconda parte della disposizione censurata, la paralisi dei poteri sostanziali e processuali di tutela degli utenti del sistema bancario opererebbe per le sole somme già versate alla data di entrata in vigore della legge di conversione del detto decreto-legge, con ingiustificata compressione del diritto di ripetizione dell’indebito solo per chi abbia posto in essere pagamenti fino alla suddetta soglia temporale;

che il rimettente assume, altresì, il contrasto della norma in esame con l’art. 111 Cost., in tema di giusto processo, sub specie della parità delle armi, in quanto, supportata da una previsione di retroattività, verrebbe a sancire – se non altro nelle ipotesi in cui dalle indebite annotazioni della banca sia decorso un decennio – la paralisi processuale di chi abbia agito in giudizio, esperendo un’azione di ripetizione dell’indebito;

che, infine, il Giudice di pace deduce il contrasto della medesima norma con gli artt. 101, 102 e 104 Cost., sotto il profilo della possibile incidenza della norma censurata su concrete fattispecie “sub iudice”, a vantaggio di una delle due parti del giudizio (ex plurimis: sentenze nn. 397 e 6 del 1994; nn. 429, 283 e 39 del 1993);

che, con atto depositato in data 2 marzo 2012, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto in giudizio chiedendo che la questione di legittimità costituzionale sia dichiarata inammissibile o infondata;

che, in primo luogo, la difesa erariale deduce la inammissibilità della questione, in quanto il giudice a quo avrebbe omesso di valutare i profili di rilevanza delle eccezioni formulate dalla banca convenuta, essendosi limitato a svolgere astratte considerazioni sulla legittimità della norma censurata, senza spiegare se ed in quali termini la sua applicazione possa incidere concretamente sull’esito della causa pendente dinanzi a sé;

che, ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri, il giudice a quo avrebbe descritto genericamente la fattispecie del giudizio principale, non specificando se la domanda formulata nel detto giudizio possa trovare accoglimento in base ai principi espressi dalla Corte di cassazione e, quindi, se sia rilevante e decisivo, ai fini del decidere, lo ius supervenies, che individua una diversa decorrenza dei termini prescrizionali;

che la difesa erariale deduce, inoltre, una lettura indifferenziata e confusa della norma denunciata da parte del rimettente, non essendo stata operata la necessaria differenziazione tra le diverse disposizioni della prima e della seconda parte di essa, attinenti rispettivamente alla interpretazione della disciplina della prescrizione in relazione ai contratti di conto corrente bancario e all’esercizio delle azioni restitutorie;

che, in particolare, avendo il giudice a quo interpretato la seconda parte della norma denunciata nel senso di una generale e radicale preclusione del diritto di agire per la restituzione delle somme versate, sarebbe irrilevante e, dunque, inammissibile la questione di costituzionalità riferita alla prima parte di essa, relativa al tema della prescrizione; 

che il Presidente del Consiglio dei ministri eccepisce la inammissibilità della questione anche sotto il profilo della mancata sperimentazione da parte del rimettente di una interpretazione della norma censurata conforme a Costituzione (ordinanze n. 139, n. 101 e n. 15 del 2011; n. 205 del 2008);

che la difesa erariale sottolinea come molti giudici di merito, abbiano optato per un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma, alcuni riconoscendo ad essa natura innovativa ed escludendone l’applicazione per il passato (Corte d’appello di Ancona, sentenza 3 marzo 2011), altri considerando la norma come disposizione di interpretazione autentica, con conseguente necessità di fare decorrere la prescrizione decennale dalla data delle singole annotazioni in conto (Tribunale di  Milano, ordinanze 7 e 4 aprile 2011);

che, in particolare, ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri, la mancanza di una chiara opzione interpretativa sarebbe particolarmente evidente con riguardo alla seconda parte della disposizione censurata, concernente il divieto di azioni restitutorie, in quanto il rimettente, sia pure ipotizzando una lettura in chiave di clausola di salvaguardia della posizione giuridica di chi abbia già ricevuto il rimborso cui la prescrizione non può essere più eccepita, opterebbe per una diversa interpretazione a sfavore del cliente, nel senso di una preclusione assoluta dell’esercizio del diritto di azione di ripetizione dell’indebito, omettendo di verificare se il divieto di cui trattasi possa essere riferito solo ai diritti che si debbano ritenere prescritti in base alla prospettata interpretazione autentica dell’art. 2935 cod. civ.;

che, nel merito, il Presidente del Consiglio dei ministri svolge le medesime argomentazioni sulla non fondatezza della questione, di cui all’atto di intervento del 3 gennaio 2012, relativo al giudizio r. o. n. 259 del 2011, cui si fa rinvio;

che il Tribunale ordinario di Bari, con ordinanza del 19 maggio 2011 (r.o. n. 14 del 2012), ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, primo comma, 24, primo comma, 111, primo e secondo comma, Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 61, del d.l. n. 225 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 10 del 2011, comma aggiunto dalla legge di conversione;

che, il rimettente premette di essere stato investito dell’accertamento – con riferimento alle clausole di determinazione e applicazione degli interessi ultralegali, anatocistici, superiori al tasso-soglia antiusura – della nullità, illegittimità e/o inefficacia, totale o parziale, di due contratti di conto corrente, e, per l’effetto, della condanna dell’istituto di credito convenuto, al pagamento della somma di euro 280.859,72 ovvero di tutte le somme risultanti a credito dell’attrice;

che, nel costituirsi in giudizio, la banca convenuta ha eccepito il difetto di legittimazione dell’attrice, nonché la prescrizione decennale di ogni diritto vantato da quest’ultima alla ripetizione di somme, a far data dalla notifica dell’atto di citazione o quantomeno dalla chiusura del conto, chiedendo il rigetto delle domande;

che, nelle more, è entrata in vigore la normativa censurata;

che, in punto di rilevanza, il rimettente ritiene di dovere fare applicazione nel giudizio principale di detta norma – trattandosi di disposizione che disciplina la prescrizione del diritto alla restituzione di somme illegittimamente addebitate su conto corrente bancario – discutendosi di rapporti bancari in corso da oltre dieci anni e avendo la banca convenuta sollevato l’eccezione di prescrizione;

che, in particolare, il giudice a quo osserva come, secondo la nuova normativa, la prescrizione decennale del diritto alla ripetizione di ogni singolo addebito illegittimo decorra dal giorno dell’annotazione di tale addebito, anche quando si tratti di addebito intra-fido, ciò in contrasto con quanto affermato dalle sezioni unite della Corte di cassazione, nella sentenza n. 24418 del 2010;

che il rimettente sottolinea, al riguardo, come, prima dell’entrata in vigore dell’art. 2, comma 61, secondo l’orientamento maggioritario della giurisprudenza di merito, la prescrizione del diritto alla ripetizione dell’indebito decorreva dalla chiusura del conto corrente, mentre, secondo l’orientamento minoritario, la prescrizione decorreva dai singoli addebiti; 

che, in punto di non manifesta infondatezza, il Tribunale censura l’art. 2, comma 61, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 24, primo comma, 111, commi primo e secondo, Cost.;

che, in ordine all’assunta violazione dell’art. 3, primo comma, Cost., il rimettente rileva come la norma in esame imponga irragionevolmente una interpretazione che, soprattutto a seguito dell’intervento delle sezioni unite della Corte di cassazione, non poteva essere più considerata tra le possibili varianti interpretative dell’art. 2935 cod. civ.;

che, ad avviso del giudice a quo, la norma in questione si presenterebbe priva del requisito della ragionevolezza, in quanto violerebbe il principio di certezza delle situazioni giuridiche, intervenendo su un sistema normativo nel quale non vi erano più problemi interpretativi in ordine alla determinazione della data di decorrenza della prescrizione per la ripetizione delle somme illegittimamente addebitate sui conti correnti bancari, imponendo una soluzione già assolutamente minoritaria e superata dall’intervento delle sezioni unite;

che, in particolare, la norma censurata, prevedendo la decorrenza della prescrizione dalla data dell’annotazione, che di per sé non costituisce un “pagamento” indebito – poiché gli addebiti in conto corrente effettuati intra-fido non costituiscono “pagamento” – introdurrebbe una irragionevole deroga al principio generale della decorrenza della prescrizione dal momento in cui il diritto può essere fatto valere, ponendosi ingiustificatamente in contrasto con il contesto normativo preesistente;

che, ad avviso del rimettente, ciò comporterebbe anche una lesione dell’affidamento dei consociati sulla decorrenza del termine di prescrizione dell’azione di ripetizione dell’indebito dalla data di chiusura del conto e/o dal versamento “solutorio”, nonché una ingiustificata disparità di trattamento tra i titolari di diritti di credito nei confronti delle banche per la ripetizione delle somme illegittimamente addebitate su conto corrente e gli altri titolari di diritti di credito per la ripetizione di somme indebitamente corrisposte;

che, in ordine alla assunta violazione dell’art. 24 Cost., il rimettente ritiene che il primo periodo della norma censurata individuerebbe la decorrenza della prescrizione stessa in un atto che è al di fuori della sfera conoscitiva del creditore, ledendo il diritto di difesa e di azione in giudizio di quest’ultimo;

che anche il secondo periodo della norma censurata, letto nel senso di una irripetibilità dei versamenti indebiti già effettuati dal correntista alla data della entrata in vigore della normativa in esame, introdurrebbe, ad avviso del rimettente, un divieto di ripetizione giudiziale e stragiudiziale delle somme già indebitamente corrisposte dal cliente in violazione del principio di tutela delle situazioni giuridiche soggettive e del principio della necessaria causalità degli arricchimenti e degli spostamenti patrimoniali;

che, infine, il rimettente assume la violazione dell’art. 111, commi primo e secondo, Cost., e, quindi, del diritto ad un «giusto processo», in quanto il secondo periodo della norma censurata interverrebbe sui giudizi in corso, paralizzando l’azione di ripetizione dell’indebito, e determinerebbe una ingiustificata disparità di trattamento tra le parti del giudizio, trattandosi di normativa di assoluto favore per le banche rispetto al cliente, con eliminazione di qualsiasi possibilità di ripetizione delle somme indebitamente versate fino all’entrata in vigore della legge di conversione n. 10 del 2011;

che, con atto depositato in data 2 marzo 2012, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto in giudizio, chiedendo che la questione di legittimità costituzionale sia dichiarata  inammissibile o infondata;

che, in primo luogo, la difesa erariale deduce la inammissibilità della questione per carenza di motivazione sulla rilevanza, non avendo il rimettente indicato la causale della pretesa restitutoria né quale fosse il dies a quo di decorrenza del termine di prescrizione alla luce dei principi enunciati dalla Corte di cassazione a sezioni unite,  che la norma avrebbe modificato;

che, inoltre, la questione di legittimità costituzionale, avente ad oggetto il secondo periodo della norma censurata, sarebbe inammissibile in quanto fondata su argomentazioni non conferenti rispetto al parametro invocato (art. 111 Cost.);

che, nel merito, il Presidente del Consiglio dei ministri svolge in sostanza le medesime argomentazioni sulla non fondatezza della questione di cui all’atto di intervento del 3 gennaio 2012 relativa al giudizio r.o. n. 259 del 2011, cui si fa rinvio;

che il Tribunale ordinario di Siracusa, con ordinanza del 7 ottobre 2011 (r.o. n. 24 del 2012), ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, 24, commi primo e secondo, 102, primo comma, 111, commi primo e secondo, 117, primo comma, Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 61, secondo periodo, del d.l. n. 225 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 10 del 2011, comma aggiunto dalla legge di conversione;

che il rimettente premette di essere investito dell’opposizione, ai sensi dell’art. 645 del codice di procedura civile, proposta avverso un decreto ingiuntivo emesso in favore della Banca Antoniana Popolare Veneta, del quale è chiesta la revoca e, in via riconvenzionale, l’accertamento della violazione della legge 7 marzo 1996, n. 108 (Disposizioni in materia di usura) e della nullità della clausola negoziale, di cui all’art 1283 cod. civ., del contratto di conto corrente bancario intrattenuto con l’istituto bancario, con la condanna di quest’ultimo alla restituzione delle somme indebitamente percepite;

che, come il giudice a quo aggiunge, nel costituirsi in giudizio la banca convenuta ha chiesto il rigetto delle domande, ma nelle more è intervenuta la normativa censurata;

che, in punto di rilevanza, il rimettente osserva come il censurato art. 2, comma 61, secondo periodo, prescindendo dalla proposizione di un’eccezione di prescrizione – non sollevata nel giudizio a quo – elida in radice, nei rapporti di conto corrente bancario, il diritto di azione ai sensi dell’art. 2033 cod. civ. in relazione alle somme versate in data anteriore all’entrata in vigore della legge di conversione n. 10 del 2011;

che, in punto di non manifesta infondatezza, il Tribunale dubita della legittimità costituzionale del citato art. 2, comma 61, secondo periodo, in riferimento agli artt. 3, 24, commi primo e secondo, 102, primo comma, 111, commi primo e secondo, 117, primo comma, Cost.;

che, come il rimettente premette, la norma in esame non sarebbe annoverabile tra quelle di interpretazione autentica, in quanto non  diretta ad imporre all’art. 2935 cod. civ. alcun significato tra quelli ascrivibili, ma sancirebbe, in via automatica e retroattiva, la perdita del diritto maturato alla ripetizione di somme versate nel corso dei contratti di conto corrente bancario sino all’entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge;

che, inoltre, ad avviso del rimettente, il dato letterale “in ogni caso” denoterebbe la inutilità dell’eccezione di prescrizione di cui all’art. 2935 cod. civ., stante la configurabilità di un vero e proprio divieto generale di restituzione dei versamenti effettuati anteriormente all’entrata in vigore della legge di conversione;

che, in primo luogo, il rimettente censura l’art. 2, comma 61, secondo periodo, in riferimento all’art. 3 Cost.: 1) sotto il profilo della irragionevolezza, in quanto il legislatore avrebbe escluso, retroattivamente e limitatamente al contratto di conto corrente bancario, ogni azione restitutoria avente ad oggetto i versamenti effettuati anteriormente all’entrata in vigore della legge di conversione – termine, ad avviso del rimettente, neanche individuabile con esattezza ex ante, tenuto conto dei sessanta giorni per la conversione, ai sensi dell’art. 77, terzo comma, Cost. – a prescindere dall’intervenuto decorso a tale data del relativo termine di prescrizione; 2) sotto il profilo della lesione dell’affidamento dei consociati, in quanto il legislatore, disponendo con la norma censurata retroattivamente e limitatamente alla categoria del contratto di conto corrente bancario, avrebbe creato una ingiustificata disparità di trattamento tra chi abbia versato gli importi, privi di causa, prima dell’entrata in vigore della legge di conversione, e chi abbia effettuato tali versamenti dopo tale termine;

che il giudice a quo deduce, altresì, la violazione dell’art. 24, commi primo e secondo, Cost., in quanto il generale divieto di ripetizione dei versamenti, effettuati anteriormente alla entrata in vigore della legge di conversione, renderebbe inutile e privo di effettività il diritto dei cittadini di adire l’autorità giudiziaria per ottenere la tutela delle proprie situazioni giuridiche soggettive;

che il rimettente censura la norma in esame anche in riferimento all’art. 102, primo comma, Cost., in quanto essa inciderebbe negativamente sulle attribuzioni costituzionali dell’autorità giudiziaria definendo, sostanzialmente, con atto legislativo, l’esito di giudizi in corso;

che, infine, il Tribunale assume la violazione degli artt. 111, commi primo e secondo, e 117, primo comma, Cost., attraverso la violazione dell’art. 6 della CEDU, nell’interpretazione datane dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, in quanto l’applicabilità della norma censurata ai giudizi in corso lederebbe i principi del giusto processo e della parità delle parti, venendo ad incidere su di una determinata tipologia di controversie già pendenti, a vantaggio di una delle parti del giudizio, senza che si ravvisino “ragioni imperative d’interesse generale”;

che il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto in giudizio, chiedendo che la questione di legittimità costituzionale sia dichiarata inammissibile o infondata;

che, in primo luogo, la difesa erariale deduce la inammissibilità della questione per carente descrizione della fattispecie che consenta di verificarne la rilevanza, nonché per omessa sperimentazione di un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma censurata;

che, nel merito, il Presidente del Consiglio dei ministri – dopo avere premesso le medesime argomentazioni sulla non fondatezza della questione di cui all’atto di intervento del 3 gennaio 2012, relativa al giudizio r.o. n. 259 del 2011, cui si fa rinvio – osserva come il secondo periodo dell’art. 2, comma 61, debba essere letto ed interpretato in stretta correlazione con il primo periodo di cui costituisce il corollario;

che, ad avviso della difesa erariale, con il secondo periodo censurato, il legislatore ha inteso precisare che non è possibile ripetere le somme indebitamente addebitate in conto nel caso (“in ogni caso”) in cui sia decorso il termine prescrizionale, decorrente dall’annotazione, dell’azione di accertamento dell’indebita contabilizzazione di cui al primo periodo della medesima norma;

che il Presidente del Consiglio dei ministri esclude, quindi, la violazione dell’art. 3 Cost.: 1) sotto il profilo della ragionevolezza, in quanto la norma censurata non implicherebbe il divieto di esperire azioni di ripetizione dell’indebito per coloro che abbiano effettuato pagamenti alla data di entrata in vigore della legge, ma vieterebbe l’azione di ripetizione nel solo caso di prescrizione del diritto a contestare le annotazioni in conto; 2) sotto il profilo della irragionevole disparità di disciplina tra rapporti regolati in conto corrente bancario e in conto corrente ordinario, attesa la diversità dei rapporti posti a confronto;

che, infine, sotto il profilo dell’assunta violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 6 della CEDU, la difesa erariale osserva come la norma denunciata si limiti a chiarire quale sia il termine di decorrenza della prescrizione e quali siano gli effetti del suo decorso, senza ledere il diritto di agire in giudizio a tutela delle proprie ragioni e senza interferire sull’esercizio della potestà  giurisdizionale.

Considerato che il Tribunale ordinario di Nicosia, il Giudice di pace di Potenza, il Tribunale ordinario di Bari ed il Tribunale ordinario di Siracusa, sollevano, tutti, questione di legittimità costituzionale dell’articolo 2, comma 61, del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225, (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie), convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10, comma aggiunto in sede di conversione, ipotizzando, nel complesso, la violazione degli articoli 2, 3, 24, 101, 102, 104, 111 e 117, primo comma, della Costituzione;

che, pertanto, i relativi giudizi vanno riuniti per essere definiti con unica pronuncia;

che, successivamente all’ordinanza di rimessione, questa Corte, con sentenza n. 78 del 2012, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di detto art. 2, comma 61;

che, per effetto di tale sentenza, la questione di legittimità costituzionale della medesima norma, sollevata dagli odierni rimettenti, è divenuta priva di oggetto e, pertanto, deve essere dichiarata manifestamente inammissibile;

che a tale conclusione si giunge sul rilievo che la questione in esame riguarda la stessa norma della quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale con la richiamata sentenza n. 78 del 2012, sicché, in forza dell'efficacia ex tunc di tale pronuncia, è preclusa al giudice a quo una nuova valutazione della perdurante rilevanza della questione stessa, unica valutazione che potrebbe giustificare la restituzione degli atti al giudice rimettente (da ultimo, ordinanze n. 76 del 2012; n. 312, n. 85, n. 55 e n. 19 del 2011, n. 298 e n. 222 del 2010).

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 2, comma 61, del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie), convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10, sollevata, in riferimento – nel complesso – agli articoli 2, 3, 24, 101, 102, 104, 111 e 117, primo comma, della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Nicosia, dal Giudice di pace di Potenza, dal Tribunale ordinario di Bari e dal Tribunale ordinario di Siracusa, con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 maggio 2012.

F.to:

Alfonso QUARANTA, Presidente

Alessandro CRISCUOLO, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 6 giugno 2012.